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Come gli oggetti “smart” cambiano il nostro rapporto con la privacy


Un telefono di oggi non è più un semplice telefono, ma un dispositivo “smart”, intelligente. Lo stesso avviene per i GPS, i tablet, le telecamere, gli orologi e altri sensori che possiamo indossare (per esempio per monitorare la nostra frequenza cardiaca). E questo sembra essere solo l’inizio: anche le nostre case iniziano a registrare la presenza di oggetti connessi alla rete, i cosiddetti elettrodomestici smart che costruiscono l’internet delle cose.   Oggetti connessi quindi oggetti vulnerabili: uno degli attacchi informatici più duri, avvenuto nell’ottobre 2016, è stato sferrato utilizzando delle semplici telecamere connesse alla rete per avere accesso ai dispositivi a cui queste erano collegate.   Vulnerabilità che riguardano anche i nostri dati personali: tutti questi oggetti raccolgono infatti informazioni sui loro proprietari, che questi ne siano consapevoli o meno. Certo, molti servizi possono rivelarsi così comodi da farci pensare che, in fondo, rinunciare a un po’ della nostra privacy non è poi così grave. Davvero?   Un esempio: il cardiofrequenzimetro che indossiamo quando facciamo sport, connesso all’applicazione sul nostro telefono, raccoglie dati importanti sulle nostre condizioni di salute, ma con chi li condivide? Le informative sulla privacy sono chiare a sufficienza da permettere agli utenti un consenso informato? Purtroppo non è sempre così.   Anche il caso di alcuni giocattoli connessi che violavano la privacy dei bambini e delle famiglie era diventato un caso di cronaca sui media.   Se possiamo considerare naturale un adattamento del concetto di privacy in un contesto tecnologico in costante mutamento, non dobbiamo però perdere di vista l’importanza di proteggere la nostra vita privata e i nostri dati sensibili.   Per fare questo, ricordiamoci che spesso siamo noi stessi i primi a rivelare informazioni su di noi, condividendole online. Ogni volta che scarichiamo un’applicazione o accediamo a un servizio, assicuriamoci di leggere l’informativa sul trattamento dei dati, per capire chi e per quali ragioni può avere accesso ai nostri dati. E ricordiamoci anche l’Autorità garante per la protezione dei dati personali può aiutarci nella difesa dei nostri diritti.