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Privacy online e Gen Z: Intervista alla ricercatrice Antonella Capalbi


Da sempre tema molto caro a noi di Mister Credit, la privacy online è una questione che oggi tocca tutte le generazioni, incluse quelle più giovani, gli adulti di domani. È quindi importante capire cosa ne pensano i ragazzi e le ragazze della Generazione Z, poiché è anche a partire dalle loro opinioni che si delineeranno le politiche del futuro.

Partiamo da una domanda: i giovani e giovanissimi si interrogano sulla loro privacy in rete? Sono consapevoli del modo in cui i giganti del tech raccolgono i nostri dati, in particolare tramite le piattaforme social? Ne discutiamo con la ricercatrice Antonella Capalbi, assegnista di ricerca presso l'Università di Modena e Reggio Emilia, che nell'ambito del progetto "Revolution Lab", condotto in alcune scuole modenesi, si è interrogata proprio su questi importanti punti.


Qual è il rapporto tra i ragazzi e le ragazze della Generazione Z e il tema della privacy online?

Sulla base della nostra ricerca, abbiamo osservato che l'importanza della privacy, e nello specifico della cessione dei dati personali online, risulta percepita in modo vago dal campione di studenti e studentesse coinvolti/e. Nello specifico, una delle attività collaborative condotte nelle scuole ha avuto l'obiettivo di riflettere su alcuni diritti fondamentali: abbiamo distribuito nelle classi una lista di diritti fondamentali ed è stato chiesto a ragazze e ragazzi di ordinarli sulla base dell'importanza associata a ogni diritto.

Lo scopo di questa attività di classe era quello di far riflettere sull'impossibilità di creare una gerarchia dei diritti fondamentali, che al contrario risultano inevitabilmente interconnessi. Tuttavia, è stato interessante notare che il diritto alla privacy e alla tutela dei dati personali è stato quasi sempre posto al fondo della classifica. La scarsa importanza associata al tema è stata poi confermata da alcune interviste condotte nell'ambito di focus group, in cui è emersa poca consapevolezza rispetto a quanto i dati personali, e quindi la privacy, risultino essere moneta di scambio per le interazioni che si sviluppano sui social media.

Vede dei pericoli e delle criticità nel modo in cui ragazzi e ragazze si approcciano a questo tema?

Sicuramente il fatto che la scarsa tutela della privacy risulti essere una questione vagamente percepita, o forse data per scontata in quanto parte del gioco, necessita un punto di attenzione e di riflessione, al fine di vivere con maggiore consapevolezza le proprie interazioni online.

Siamo ormai una società che ha interiorizzato l'idea di cedere i propri dati e la propria privacy in cambio di una presenza online?

Questo è un elemento difficile da esplorare in modo netto: sicuramente il fatto che ormai molte delle nostre interazioni dipendono da piattaforme (non solo social) può implicare una tacita accettazione delle regole del gioco, tra cui la cessione dei propri dati in cambio della possibilità di usufruire delle piattaforme, che costituiscono l'infrastruttura aperta in cui sempre più interazioni si verificano e da cui le nostre interazioni risultano essere sempre più dipendenti.

In che modo ragazze e ragazzi vedono i social? Cosa rappresentano per loro?

Dall'indagine condotta è emersa un'idea di social network come spazio di libera espressione per le nuove generazioni. Grazie al ruolo prosumer degli utenti, che sono allo stesso tempo produttori e consumatori di contenuti, le piattaforme social risultano essere spazi che riescono a valorizzare i punti di vista dei più giovani, ad esempio su questioni come l'inclusione, la diversity, ma anche e soprattutto la salute emotiva: un tema che nelle parole di studenti e studentesse risulta essere stato di scarso interesse per le generazioni precedenti.

Allo stesso tempo, come ho già accennato, emerge anche un’idea di social priva di intermediazione. I social, cioè, vengono percepiti come contesti in cui è possibile esprimersi liberamente, poiché liberi da qualsiasi tipo di ingerenza; al contrario di quanto accade nei media tradizionali, in cui la presenza di uno sguardo editoriale viene percepita come molto forte. Sembra cioè emergere una scarsa consapevolezza di quanto questi spazi siano “tecno-mediati”, vale a dire del peso che vi ricopre la tecnologia. Possiamo fare l'esempio degli algoritmi che filtrano, orientano e organizzano i contenuti, secondo criteri basati sulle preferenze degli utenti, ma anche sulla base di uno sguardo editoriale presente tanto qui quanto nei media tradizionali.

A suo avviso, rispetto alle generazioni precedenti, sono più o meno consapevoli del funzionamento dei social media, e di come questi siano condizionati da algoritmi e scelte di chi li possiede?

Una comparazione di questo tipo risulta difficile. Non avendo condotto ricerche con utenti di età differente, dare una risposta univoca non è possibile, ma mi sembra in generale che la necessità di una maggiore "educazione digitale" risulti trasversale alle generazioni, dal momento che ci si fronteggia con fenomeni nuovi, che richiedono nuovi strumenti.

Quali sono i principi che bisogna insegnare a ragazzi e ragazze per renderli più consapevoli nell'uso della rete?

Non è semplice confezionare una ricetta, ma probabilmente per rendere i ragazzi più consapevoli sull'uso della rete, è importante aiutarli a capire come funzionano gli spazi digitali, mettendo in luce la "matrice" tecnologica e le dinamiche basate sull'uso dei dati personali. Inoltre, è fondamentale insegnare loro a riconoscere che ciò che vedono online è spesso una costruzione artificiale o "finzionale".
Questo significa che i contenuti che consumiamo (o creiamo) sui social vengono costruiti a partire da un certo immaginario, che a sua volta ha radici in una determinata cultura, oltre ad essere influenzato da potenziali prospettive editoriali.