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MISTER CREDIT
Internet è una fonte inesauribile di informazioni che ci permette di viaggiare virtualmente in ogni angolo del mondo e, grazie ai suoi archivi sterminati, in una certa misura anche nel tempo. Ma la pressoché infinita memoria della rete ha anche un'altra faccia: è una finestra aperta sul passato delle persone, anche quando quel passato è ormai lontano e superato.
Proprio per tutelare la privacy delle persone quando i fatti, magari di cronaca, che le hanno riguardate non sono più rilevanti, è nato il concetto di diritto all'oblio. Vediamo cos'è, quali leggi lo regolano e come farlo valere.
Strettamente legato al diritto alla privacy e alla protezione dei dati personali, il diritto all'oblio garantisce a chi vuole farlo valere la cancellazione di informazioni personali lesive della reputazione e diffuse pubblicamente (nello specifico, in rete).
Un esempio relativamente comune: una persona è condannata per un illecito e una serie di informazioni che la rendono riconoscibile (nome, cognome, professione e via dicendo) diventano pubbliche sui siti di news. È ovvio che questo potrebbe danneggiarne la reputazione a distanza di anni. Ebbene, il diritto all'oblio stabilisce che, a determinate condizioni, la persona ha diritto a richiedere la rimozione di tali informazioni, in modo che l'illecito compiuto molto tempo prima non continui ad avere effetti nefasti anche, ad esempio, sulla sua vita professionale presente e futura.
Ma attenzione: abbiamo detto a determinate condizioni. Infatti il diritto all'oblio va a toccare quello alla cronaca e all'informazione giornalistica, per cui è nell'interesse pubblico che determinate informazioni vengano divulgate e restino disponibili nel tempo a chi vuole consultarle.
In ultima istanza, infatti, sta al giudice o al Garante della privacy di stabilire quando la richiesta di cancellazione delle proprie informazioni personali dalle cronache è legittima e quando no, proprio in nome dell'interesse pubblico.
Il diritto all'oblio è regolato dall'articolo 17 del GDPR, ovvero il Regolamento UE sulla protezione dei dati personali. Quest'ultimo stabilisce in quali casi una persona ha diritto a chiedere la cancellazione dei suoi dati personali detenuti da un responsabile del trattamento se si oppone al loro utilizzo. Tuttavia, come abbiamo già detto, tale diritto non si applica se i dati vengono utilizzati per l'esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione.
Ma sono soprattutto i casi finiti in tribunale a fare scuola. In particolare, una sentenza emessa il 26 giugno 2018 dalla Corte europea dei diritti dell'uomo ha stabilito che se le informazioni divulgate sono di interesse pubblico (nel caso in questione, si trattava dei nomi di tre persone condannate per omicidio) non devono essere cancellate.
Da un'altra sentenza di grande importanza – quella che ha visto opporsi Google e l'agenzia spagnola per la protezione dei dati personali – sono scaturite una serie di linee guida che riguardano il diritto all'oblio e i motori di ricerca.
In pratica, descrivono in che modo un soggetto richiedente ha diritto ad ottenere la deindicizzazione da parte dei motori di ricerca delle pagine contenenti i suoi dati personali. Ecco i punti più importanti:
In pratica, una persona ha il diritto di richiedere che il suo nome, se digitato su un motore di ricerca, non dia più come risultati delle pagine di cronaca che riportano, ad esempio, un reato. Ma solo se quest'ultimo non è più di interesse pubblico.
Per presentare una richiesta di rimozione dei contenuti che includono i propri dati da Google è possibile seguire la procedura indicata dal motore di ricerca e, in caso di risposta negativa o di mancanza di risposta, rivolgersi all'autorità giudiziaria oppure al Garante della Privacy. Simili procedure esistono anche per gli altri motori di ricerca attivi in Europa, ad esempio Bing.
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