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MISTER CREDIT
La tutela delle nostre informazioni personali è ancora considerata come qualcosa da difendere con attenzione? I dati legati all'utilizzo dei nuovi strumenti che abbiamo a disposizione, dai social network agli smartphone, mettono in luce aspetti contraddittori. Questo può essere dovuto, in parte, alla relativa novità di molti di questi strumenti, che sono da poco entrati nel nostro uso quotidiano, ma probabilmente la causa sta anche nel fatto che non si sia ancora affermata una forte cultura della privacy, legata all'uso consapevole dei media digitali. Qualcosa sta cambiando, a partire dal mondo anglosassone, anche a causa di vicende poco chiare e incidenti che hanno messo in pericolo i dati degli utenti di vari servizi web gestiti da grandi aziende americane. Quella che più spesso è finita al centro di polemiche e critiche è sicuramente Facebook (che conta quasi un miliardo di iscritti), ma la maggior parte dei big del settore è dovuta intervenire più volte per chiudere falle o per rassicurare i propri utenti, risolvendo problemi di sicurezza. Una recente ricerca, realizzata da Harris Interactive negli Stati Uniti, ha evidenziato che i due terzi degli statunitensi che utilizzano la rete credono che Facebook non sia affidabile nella difesa della privacy degli iscritti. Amazon e Google hanno registrato risultati migliori, ma il segnale è chiaro: gli utenti si preoccupano per quello che le aziende fanno con le loro informazioni personali. Ma se ci chiediamo spesso dove vanno a finire i contenuti che decidiamo di condividere online, non siamo così attenti ogni volta che scegliamo di iscriverci a un nuovo servizio o di scaricare un'applicazione per il telefono o il tablet. Secondo un report elaborato da Msnbc e Ponemon Institute, il 70% degli utenti legge raramente o mai i termini e le condizioni di utilizzo dei servizi web. Però, dallo stesso campione preso in esame dalla ricerca, emerge che, rispetto a cinque anni fa, il 70% degli utenti pensa di avere meno controllo sulla propria privacy. Il 68%, inoltre, dichiara di non capire le impostazioni sul trattamento dei dati personali di Facebook. Un ultimo dato significativo: circa la metà delle persone intervistate dai ricercatori ha visto la propria privacy violata negli ultimi due anni. Un elemento che dovrebbe suscitare allarme. Si tratta di dati contraddittori, dunque, come anticipato all'inizio. Se è vero che, da un lato, dovrebbero essere le aziende e i servizi a semplificare e rendere più chiare le condizioni sul trattamento dei dati personali, è fondamentale però che gli utenti acquisiscano una sempre maggiore consapevolezza sui propri comportamenti online, imparando come tutelare la propria reputazione e mantenendo un controllo attento sulle informazioni che condividono sul web e tramite i social network.
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